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Pigmenti Minerali_ ROSSO CINABRO (Miniera)

4/28/2016

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Sofuro di Mercurio - HgS

Pigmento di origine minerale, tuttavia è prodotto anche artificialmente tramite sintesi.
Conosciuto in passato da moltissime civiltà (Egizi, Cinesi, Greci e Romani).
Il metodo di preparazione del Cinabro era noto già dal XV secolo tanto che Venezia divenne uno dei centri di maggiori produzione di tale pigmento.
Il Cinabro naturale è prodotto dall’attività vulcanica, ma a differenza dello zolfo la sua formazione è limitata solo in aree vulcaniche con condizioni molto particolari e favorevoli alla sua formazione.

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Possiede un ottimo potere coprente, si decompone con gli acidi ed è alterabile con i pigmenti a base di piombo. Molto stabile ed usato in tutte le tecniche, da verificare nell’affresco e nell’encausto in base anche alla composizione della miscela.
A causa della presenza del mercurio è da considerare potenzialmente tossico.

In passato si notò che il cinabro anneriva nella tecnica dell’affresco se esposto a fenomeni atmosferici e alla luce. Vitruvio per risolvere questo problema suggerì nel I sec a.C. di passare sul fresco asciutto della cera punica fusa con un po’ d’olio. Le sostanze grasse in questo modo neutralizzavano la causticità della calce limitando le alienazioni di colore

Curiosità: 
- Avendo la capacità di trasformarsi in mercurio è stato in passato alla base del pensiero alchemico ed esoterico. Si ritiene che lo scopritore del cinabro artificiale sia sta un alchimista arabo, ma fonti accreditate rivelano che i primi a studiarlo furono i cinesi, avendolo utilizzato da sempre per scopi esoterici di ricerca dell’immortalità, propria del Taoismo.

- In passato è stato di vitale importanza per scindere l’oro dalle impurità dei minerali nei quali è contenuto.

- Nell’antica Roma gli schiavi venivano mandati a lavorare nelle miniere spagnole di Almadèn. Questa mansione era equiparata ad una condanna a morte poiché il contatto diretto e prolungato con questo materiale tossico sanciva una scarsa aspettativa di vita.

- In numerosi edifici di pompei il cinabro era molto utilizzato
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- Si riscontra anche la curiosità della sua applicazione dalle donne romane come una sorta di precursore del moderno rossetto.

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Pompei – Villa dei Misteri

Sinonimi: Vermiglione, Cinabro della Cina, Cinabro d’Olanda, Cinabro di Mercurio, Cinnabarite, Cinnabarium, Vermiculum.
Inglese: Cinnabar
Nomi Antichi: Senauro, Cinabrum, Vermilium, Cinaprio​

​***(((Informazioni sui materiali in continuo AGGIORNAMENTO)))***

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Considerazioni del Dahlia Studios sul  Superstudio, a 50 anni dalla sua nascita 

4/26/2016

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il MAXXI di Roma dedica in queste settimane fino al 4 settembre 2016 al Superstudio per i 50 anni dalla sua fondazione, una retrospettiva ideata dagli stessi fondatori e curata dal Prof. Gabriele Mastrigli.
Tramite questo Journal ne approfittiamo per dire la nostra su un gruppo sicuramente incisivo nel panorama architettonico internazionale, ma la cui storia a noi personalmente ha lasciato un po’ di amaro in bocca.

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Premettiamo sin da subito che i nostri pensieri sia positivi che negativi restano pur sempre idee teoriche personali, che annotiamo nelle pagine dei nostri diari (Journals) e che in parte decidiamo di pubblicare in questo sito, con il fine ultimo non di criticare in modo insulso chi di strada ne ha fatta e ha cambiato (in meglio o in peggio è difficile da dire), il panorama architettonico e culturale.
Cerchiamo di esaminare a volte biasimando, con lo scopo di esprimere le nostre teorie e le nostre osservazioni senza vincoli ideologici o di sudditanza intellettuale, secondo la nostra personalissima teoria architettonica.
Chiariamo anche l’impressione personale che abbiamo avuto di uno dei fondatori del Superstudio,dal Prof. Toraldo di Francia, essendo stato per più di un’occasione, uno dei professori nel nostro percorso accademico, esprimendo  la nostra gratitudine per il suo lavoro svolto su di noi, soprattutto per il fatto di aver generato in noi una forza repulsiva, uguale (o forse addirittura superiore) e contraria, alle teorie caratterizzanti il Superstudio stesso.
Nonostante ciò non potremmo mai negare l’importanza dei precetti che ci hanno somministrato, considerando noi insignificanti solo gli insegnamenti che non hanno il potere di generare ispirazioni o, come in questo caso, sentimenti repulsivi, contrapposti ma concettualmente fruttuosi.

Valutare il Superstudio non è semplice come ci hanno insegnato negli atenei o gli stessi  ricercatori dell’architettura radicale. Una visione semplicistica, per non dire superficiale cataloga da sempre le teorie del Superstudio riducendole solamente alle maestose utopie di un gruppo di giovani sognatori nell’epoca ideologicamente nota di fine anni ’60. 
Per noi il Superstudio non fu solo questo, per noi fu uno delle prime realtà ideologiche che cercarono di invertire la stasi dogmatica modernista di inizio secolo, inizialmente cercando soluzioni alla logica di omologazione industriale, finendo però in contraddizione e teorizzando successivamente la prima vera alienazione del Modernismo che, in quel periodo, iniziava ad avere cedimenti paradigmatici.
Il Superstudio per noi fu il vero colpevole, forse involontario, della “mutazione” dal primo modernismo di inizio 1900, al (da noi nominato) “Modernismo contemporaneo”, che prese piede con le teorie Koolhaasiane prime e con il Decostruttivismo poi.

Ricordiamo che la logica e la storia recente ci permette di riconoscere la lapalissiana parentela tra Decostruttivismo e Modernismo, seppur gli sforzi degli archistar spingono per dimostrare il contrario.

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Tornando al discorso; è chiaro ed evidente che la “mutazione” del Movimento moderno nell’architettura della Bigness Koolhaasiana, fu la vera causa che paradossalmente, mantenne vivo il modello paradigmatico modernista, addirittura rendendo vani gli sforzi dei teorici del Postmodernismo e mantenendoci oggi in un olocausto artistico, architettonico e culturale.
Colpevoli-Inconsapevoli, influenti ma deleteri per il futuro, oggi presente architettonico; questa visione per alcuni non rende onore al loro operato, per altri forse può addirittura sembrare una sopravvalutazione del lavoro svolto del Superstudio, ma questa è la nostra personale chiave di lettura del recente passato architettonico, senza filtri o sudditanze ideologiche.
 

Spesso ci domandiamo come sarebbe modificata la visione teorica attuale (architettonica ed artistica) se quei gruppi di giovani fiorentini avessero forgiato al meglio le loro teorie sulla base delle idee anti-moderniste che tutt’ora esprimono ma contemporaneamente vengono contraddette dai modelli paradigmatici scaturiti da esso.
Si focalizzavano (giustamente) sulla complessità, cercando di assumere la logica industriale come energia di diversificazione e non di omologazione, ma come si può cercare di invertire una logica diabolica se non abbattendo la demoniaca macchina industriale stessa, insita nella pratica architettonica?

“Occorre che le avanguardie si facciano carico di trasformare “in bene” (in possibilità creativa) ciò che fino a ieri era considerato un male, elemento di disturbo”

Come si può trasformare “in bene” ciò che fino a ieri era considerato un male, quando è il metodo stesso a non essere benefico?
Il problema era ed è a nostro avviso il metodo della trasformazione e non il “prodotto” da trasformare!
Dovevano forse rivoluzionare il metodo modernista invece che riadattarlo? Difficile da dire oggi a distanza di 50 anni!

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La questione lascia l’amaro in bocca perché ebbero anche la lucidità di riconoscere la necessità di un futuro dominato non dalle logiche standardizzate ma da logiche produttive contrastanti (e anche questo lo approviamo in pieno); alla fine però preferirono riabilitare la logica industriale finendo per caderci dentro, fino ai più profondi abissi, per esserne inglobati e fagocitati, aiutando purtroppo a nutrire il mostro egotistico contemporaneo.


Siamo consapevoli che il Superstudio sia stato fondamentale per la nascita delle successive teorie da noi biasimate e rigettate, ci consoliamo però credendo fermamente che le stesse idee promosse dal gruppo fiorentino riescano nel prossimo futuro ad influenzare in egual modo coloro che possano carpire dai modelli del “Monumento Continuo”, della “Supersuperficie” e dalle altre anti utopie, spunti favorevoli alle future teorie, che possano contrapporsi e superare il seme ideologico modernista, essenziale e onnipresente nei modelli architettonici contemporanei  venefici, con il fine di costruire un mondo che dovrebbe risultare più adatto agli esseri umani fruitori di tali costruzioni, che adatti ai progettisti artefici delle stesse.


*** Appendice ***
Dati statistici sostengono che un italiano su quattro non riesce a prestare attenzione ad una lettura di più di quattro righe e sappiamo che la metà dei 3/4 che continua a leggere, interrompe la lettura prima della fine; ciò nonostante per tutti coloro che riescono ad arrivare fino a questo punto a leggere questa piccola appendice, (forse interessati dai temi trattati e non annoiati dal nostro stile di scrittura a volte troppo discorsivo), ribadiamo che questo Dahlia's Journal non è considerato da noi stessi un blog divulgativo, non avendo noi né le competenze né la presunzione di insegnare qualcosa a qualcuno.
Da considerare più come un diario pubblico in cui decidiamo di appuntare periodicamente alcune teorie e piccole informazioni artistiche, estrapolate dai nostri diari privati, con l’unico fine di agevolare la nostra missione e al massimo risultare utile a qualcuno che sappia coglierle.
Con la speranza che lo si legga nella giusta maniera e non si rechi offesa a nessuno mai!


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*** BREAKING NEWS ***  Nature House Two 

4/23/2016

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La Nature House Two è la seconda delle tre tipologie proposte per l’edificazione del distretto omonimo.
Il progetto di tale proposta sfrutta tecniche progettuali  e tecnologie, assodate e sperimentali, per concepire un’evoluzione formale, tecnologica e filosofica della diffusa casa passiva.
Il design architettonico ha voluto fondere due stili abitativi agli antipodi, la tipica casa tradizionale e la residenza in stile modernista, per creare un unico innovativo design architettonico che può sfruttare i soli pregi degli stili menzionati.
Da una parte si è voluta mantenere la conformazione prospettica delle ville tradizionali, alienandole e fondendo in esse dettagli e materiali modernisti per donare al progetto una spiccata leggerezza e una migliore fruibilità degli spazi interni. La "pesantezza" dell'involucro in laterizio, tipico della casa tradizionale, è sostituito da un sistema di vetrate che consentono di godere del fascino naturalistico dell'area progettuale, ai fruitori delle Nature House One.
Il brand name del progetto non si riferisce solo alla semplice e vantaggiosa ubicazione dell'area di intervento.
L'idea architettonica infatti sfrutta il particolare design di fusione per innescare la componente naturalistica biofilica(*), elemento essenziale dello stile progettuale del Dahlia studios. Sfruttare quindi dei principi consolidati, ma spesso trascurati dagli architetti, diventa nel progetto delle Nature Houses un valore aggiunto, oltre che essere un metodo per incastonare in maniera soave, l'artefatto architettonico con il delizioso ambiente naturale dell'area di progetto.
L’intero progetto può sfruttare le migliori tecnologie oggi disponibili, dalla domotica, al  pavimento riscaldato, l’impianto geotermico, vetri auto-oscuranti a comando e tant’ altro.


(*):  Edward Osborne Wilson rileva empiricamente nell'essere umano la "tendenza innata a concentrare l'attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente"

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Pigmenti Minerali_ BLU OLTREMARE (Naturale) - ORO BLU

4/21/2016

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Silicato di Sodio e Alluminio contenente Solfuro –  3Na2 O * 3Al2 O3 * 6SiO2 * Na2 S

Volete un pigmento che sia semi-perfetto, che si possa utilizzare indistintamente in quasi tutte le tecniche pittoriche e che sia relativamente sicuro per la salute vostra e del nostro caro pianeta?
Bene… l’azzurro oltremarino, estratto dai Lapislazzuli Afghani, fa al caso vostro, peccato che come tutte le cose belle e buone che la natura ci mette a disposizione, è  da sempre molto costoso.
Quanto costoso?... Tanto!
Basti dire che nonostante sia il pigmento più stabile e duraturo tra tutti i naturali, il problema del blu ha attanagliato  dall’antichità gli artisti, che spesso non disponevano di tale importantissimo colore, proprio per via del suo costo elevato e della sua introvabilità.

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Per rendersi conto della preziosità di queste pietre, basti dire che i lapislazzuli oggi, come del resto in passato, sono molti usati in gioielleria, ed essendo presente in essi inclusioni di pirite, l’hanno da sempre resa una pietra poetica riecheggiante il cielo stellato.
Sappiamo che Michelangelo ne fa un grandissimo uso nella parete dietro l’altare nella Cappella Sistina (Giudizio Universale)… ma lì finanziava il Papa… e quindi...

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Giotto anche utilizzò l’azzurro oltremarino negli affreschi della Cappella degli Scrovegni.
Manuali di fine XIV secolo spiegano anche i metodi di estrazione di questo prezioso pigmento dalla pietra sopra descritta.

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Senza Blu non si vive, eppure anche se questo appare lapalissiano, ci è noto che il blu, era assente nelle pitture preistoriche ed antiche, dominate invece dai pigmenti rossi, neri, ocra e bruni. 
La natura è ricca di coloranti blu, ma passarono secoli prima che entrarono nella tavolozza degli artisti e dei tintori, essendo difficili da individuare, estrarre ed utilizzare. 

I Greci e i Romani li usavano raramente, mentre i Celti e i  Germani, ripiegarono sulla pianta del guado, per estrarre il pigmento blu, che fece nel 1300 la fortuna della città di Erfurt, che divenne cosi ricca, da poter fondare, nel 1392, un’università tra le più antiche di Europa.
L’indaco, anch’esso derivante da una pianta, fu molto usato invece in Medio-Oriente.

Sinceramente non amiamo, soprattutto per la pittura muraria a fresco, pigmenti organici, il perché lo spiegheremo (forse) con un apposito articolo.
Tornando a noi, possiamo dire che in antichità il blu si ottenevano principalmente  da due minerali; azzurrite e lazurite (componente principale dei lapislazzuli).
Per fortuna la chimica dal XVIII secolo in poi ha permesso, a noi pittori che non abbiamo ancora il piacere di farci commissionare opere dal Papa in persona, che ci fa la cortesia oltre che l’onore di metterci a disposizione il pigmento puro di lapislazzuli afghani, di utilizzare dei pigmenti alternativi, economicamente più accessibili.
I Pigmenti artificiali maggiori sono derivanti dal rame: Blu di Prussia, scoperto casualmente nel 1704, il cobalto nel 1802, l’oltremare artificiale nel 1828, eccetera, fino al recentissimo blu ftalocianino nel 1934.
Da qui si apre la corsa al miglior blu sostitutivo dell’oltremarino, da utilizzare nelle differenti tecniche pittoriche, ma questo è discorso arduo, ampio e dispendioso, che ci riserviamo di ampliare alla nostra maniera nei prossimi articoli.
Nel frattempo consigliamo ai ricchi artisti, che sicuramente non avranno problemi a dipingere con l’oro blu, di non perdere tempo nella ricerca di pigmenti alternativi. L’arte contemporanea dimostra che più siete ricchi più vi vendono con facilità i rozzi ma interessati galleristi.
Dimostrate almeno di avere un briciolo di amore per coloro che acquistano inconsapevolmente le croste pagate a caro prezzo, utilizzando almeno materiali notevoli.
Anzi…no! Contrordine, non sprecate preziosi lapislazzuli, i vostri ignari acquirenti meritano la beffa più totale!

p.s: Blu di Prussia… (ammesso che lo troviate, e ammesso che non vogliate rendere felice qualche gallerista o parente poco amato in vita,  che possa sfruttare la vostra morte per rendervi doppiamente beffati nel post mortem, (s)vendendo le vostre opere al posto vostro…) evitatelo o almeno tenetelo alla larga dalla biacca, dallo zinco e dai pigmenti al cadmio, nonché dal  verde smeraldo e  il rosso venezia. E’ un pigmento velenoso, rissoso e attaccabrighe seppur diventa notevole nella realizzazione di paesaggi per ottenere verdi luminosi. Va d’accordo solo con i gialli di cromo (altro pigmento dal carattere poco raccomandabile), e con pochi altri.
Lo approfondiremo sicuramente in seguito.

Sinonimi: Bleu de Garance, Azzurro oltremarino, Azzurro di Baghdad, Cynusseythico
Inglese: Ultramarine Natural Blue
Nomi Antichi: Lazzulite, Oltra marino, Lazur, Sappheiros

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Paralipomeni alla vera tecnica dell'Affresco Storico - CROCE E DELIZIA FRESCHISTA - La CARBONATAZIONE

4/18/2016

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Abbiamo parlato di affresco storico e abbiamo anche diffuso informazioni riguardo la carbonatazione, la peggiore “nemica” di questa affascinante tecnica, ma allo stesso tempo anche la “protettrice” dell’opera stessa, generata  da una tecnica che risulta ad oggi, (purtroppo) applicata solo da pochi.

La carbonatazione non è un problema che si risolve una volta per sempre (magari con l’aiuto di studi teorici), questa problematica è ricorrente e ci si deve misurare con essa ogni volta che vogliamo applicare la tecnica del VERO  affresco storico.
Il fresco, da non confondere con la più semplice e meno duratura pittura muraria, è una tecnica che consiste nel dipingere (utilizzando particolari pigmenti) sull’ultimo strato ancora fresco di intonaco.
Il colore applicato viene chimicamente assorbito e tramite la reazione di carbonatazione (che avviene nelle ore successive alla pittura) viene protetto da uno strato semi-cristallino che lo rende inattaccabile dai fenomeni naturali ed artificiali.
Esso sarà resistente al deterioramento e quindi più longevo di una semplice pittura muraria.

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La carbonatazione crea però due problematiche:

- Il primo problema è la velocità di esecuzione, in condizioni climatiche e di umidità normale l’intonaco è soggetto ad asciugarsi con poche ore (3-4 ore), alla scadenza di questo tempo, il colore che applicheremo non verrà assorbito e si depositerà sul nostro dipinto come una sottile polvere instabile.
Questo fenomeno non permette quindi all’artista di avere molto tempo per realizzare l’opera.
Si deve avere di conseguenza una tecnica decisa e rapida, che tramite accorgimenti ci permetterebbe di portare i tempi di pittura (pre-carbonatazione) a circa sette, massimo otto ore.
Per via di questi  periodi molto ristretti di realizzazione di un intero dipinto, risulta ovvia l’impossibilità di realizzare un’opera intera di svariati metri quadrati, con una sola seduta.
In  genere, si procede nella pittura di affreschi dividendoli in settori, chiamati tecnicamente “giornate”.
La composizione delle giornate ci restituirebbero l’intero dipinto, come se le se fossero i pezzi di un puzzle, da dipingere e via via da comporre.
Già questa prima problematica portava molti illustri artisti e geni del passato a non cimentarsi nell’affresco.
Il problema della velocità di esecuzione porta l’artista ad avere approcci totalmente differenti dalla classica pittura ad olio.

- La seconda problematica è data dalla modificazione cromatica.
La carbonatazione desatura le cromie, le riporta a livello di grigio nella post-carbonatazione. Per limitare questo problema il fresco in fase di esecuzione deve risultare molto più scuro e saturo. Questo a nostro avviso, è la difficoltà maggiore, poiché, la velocità si può affinare con la pratica, mentre la modificazione cromatica è ogni volta una battaglia a se. Saper padroneggiare i pigmenti e conoscere la loro modificazione cromatica è un buon punto di partenza, la prassi però è sempre differente, essendoci molteplici fattori ad inficiare con le nostre previsioni di modifica delle cromie (umidità del luogo, alcalinità del calcestruzzo ecc)

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​In conclusione possiamo riassumere che la buona riuscita di questo genere di opere dipende dal giusto equilibrio tra una buona tecnica svolta nel minor tempo possibile.
Una grande capacità tecnica che dipende dalla conoscenza dei materiali utilizzati e da un’ ottima esperienza che ci deve conferire doti previsionali di modificazione cromatica.

Cercare l’immortalità per le nostre opere diviene così un  viaggio duro, una sfida difficile, ma sicuramente affascinante e ricca di problematiche che per gli amanti della Dahlia è solo culto e lieta devozione.




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Salone del Mobile Milano 2016 

4/10/2016

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Get ready for the show: SALONE DEL MOBILE MILANO 2016
SEE YOU SOON!

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Pigmenti Organici_ GIALLO INDIANO

4/9/2016

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19H16MgO11 * 6H2O
E’ un pigmento di origine sia organica che inorganica, animale e minerale, naturale e sintetica.
Conosciuto dal XV secolo in India sotto il nome di Purree, puri o peori, ma cosa era questa sostanza venduta in forma di sfere dure, di colore sporco e puzzolente?
Nel XIX secolo, il fabbricante di colori francese J.F.L. Mérimée fece commenti sul loro odore di urina.
​In Inghilterra George Field ebbe meno perplessità, ritenendola sicuramente ricavata da urina di cammello; altri credevano invece che il fluido provenisse da serpenti.
Fu solo nel 1883 che queste voci vennero ridimensionate. L’indiano Mukharji condusse indagini a Calcutta per scoprire l’origine delle sfere giallastre.
Qui scoprì che alcuni allevatori di bestiame, i “lattai”, fabbricavano queste sfere con l’urina di mucche nutrite esclusivamente di foglie di mango: la sostanza solida giallastra precipitava dal liquido quando veniva scaldato; dopo che era stata compressa ed essiccata, veniva spedita a Calcutta per essere venduta.
Sembra che l’intera produzione del pigmento nel XV secolo che dall’India giungeva in Italia ed Europa, provenisse da questo villaggio.
Successivamente le pratiche dei “lattai” furono denunciate come inumane vennero proibite.
Nel 1908 la produzione di giallo indiano era quasi scomparsa.

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Come già detto, la sua fabbricazione è ottenuta dall’urina di vacca nutrita con foglie di mango che miscelata con precise proporzioni di allume di potassio, solfato di magnesio, sali di ammonio, acqua e euxantato in ammoniaca diluita da origine a euxantato di magnesio.
Tuttavia l’urina è solo una componente accidentale del pigmento: il colorante è un sale di calcio o magnesio di un acido organico rilasciato dal mango.

Dall’aspetto trasparente, può essere impiegato nella tempera, nell’encausto, nell’olio e acquerello. Sconsigliato nell’affresco.
Per il suo scarso potere coprente viene spesso utilizzato per le velature.



Sinonimi: Giallo Euxantato, Puerì, Prusi
Inglese: Indian Yellow
Nomi antichi: Purrea, puri, peori

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*** BREAKING NEWS (Updating) ***  Green Hotel – (Building Site) 

4/8/2016

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.Da oggi è possibile visualizzare lo stato di avanzamento dei lavori delle nuove camere del Green Hotel (piano inferiore).
Clicca sulla foto in basso per visionare le fotografie delle fasi di restyling

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Per esaminare il progetto clicca sulla foto in basso

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San Giovanni protettore dei bestemmiatori freschisti - alla ricerca del miglior BIANCO

4/6/2016

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Il Carbonato di calcio, per chi si intende di chimica è il sale di calcio dell'acido carbonico e il maggior componente del calcare, nei trattati d’arte del XV secolo definito come “Bianco di San Giovanni”:
<…Questo bianco si tria con acqua, e vuole essere bene macinato.
​E’ buono da lavorare in fresco, cioè in muro,, senza tempera; e senza questo non puoi fare niente, come d’incarnazione ed altri mescolamenti degli altri colori che si fa in muro, cioè in fresco; e mai non vuole tempera nessuna.>
  

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Noi abbiamo avuto modo di sperimentarlo, applicarlo sul fresco e alterarlo con altri pigmenti, ma consideriamo molto sconveniente il suo uso, nella pittura in generale e soprattutto nella tecnica a fresco.
E’ un pigmento problematico e dispotico, e crediamo che San Giovanni oltre ad essere uno pseudonimo affascinante, sia anche il santo designato a proteggere tutti coloro che dopo “giornate” estenuanti, scoprono l’opera completamente mutata nella post-carbonatazione, causata da tale pigmento.
Dobbiamo anche dire che inizialmente gode di una buona stabilità, è abbastanza luminoso e non tossico e/o velenoso. Le sorprese però spuntano  il giorno seguente alla sua applicazione. Nella tecnica a fresco entra in carbonatazione modificando molto rapidamente il suo candore. La disfatta più totale si compie quando si scopre che intorbidisce gli altri pigmenti, ingrigendoli di molti gradi tonali.
Come una donna seducente, che una volta entrata in sintonia con gli altri pigmenti, si trasforma in una lamia pronta a divorarli, nutrendosi della loro brillantezza.

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… e pensare che alcuni manuali storici e molti scritti contemporanei, lo reputano un ottimo bianco da affresco!!!

Per fortuna abbiamo nuove vie da percorrere per evitare “giornate” estenuanti a combattere contro la carbonatazione e la modificazione cromatica.

- Il Bianco di Piombo è la prima di queste alternative, già conosciuto nei tempi antichi ha un ottimo potere coprente, brillante, indicato nella tecnica ad olio e anche nell’affresco.
Ha due note sfavorevoli che non lo rende il nostro bianco preferito e non fa parte della nostra selezione di pigmenti.
La prima debolezza è che reagisce molto male agli agenti atmosferici, che tendono a renderlo scuro. Scordatevi quindi di utilizzarlo in opere alla luce del sole, è destinato a restare nelll’ombra delle tenebre.  La seconda carenza è data dal fatto che per natura è molto velenoso. Tenetelo lontano dai bambini e dai dilettanti, nonché lontano dai solfuri e dai pigmenti al cadmio. Proprio per quest’ultimo motivo, ci è anche noto che alcuni pittori veneziani del passato, tendevano a smorzarlo e mescolarlo con creta bianca.

- Un’altra buona alternativa è l’Ossido di Zinco, ancora in sperimentazione presso i nostri studi, avendo anch’esso alcuni "punti d’ombra" nella sua applicazione, che spesso non vengono considerati nei manuali passati e contemporanei, sconsigliato comunque nell’affresco.
 
​-C’è poi un’ulteriore soluzione, di recentissima scoperta, di cui per ora vogliamo poco rivelare, sia per  avere la tranquillità di studiare in modo più approfondito, sia perché in questo diario diremo quello che è utile dire. Tempo al tempo.

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 Ad oggi è il nostro pigmento bianco preferito, lo avessero avuto Michelangelo Buonarroti e co. oggi ne sapremmo di più sulla sua modifica cromatica nel corso dei secoli.
In futuro se decideremo di pubblicare il frutto delle nostre esperienze, approfondiremo il problema del bianco in pittura, espandendo anche la lista dei pigmenti bianchi, adatti alle differenti  tecniche pittoriche (esempi: solfogeno, b. di Meudon, b. di Firenze ecc).

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Tesori Naturali: Agathis australis (Kauri)

4/3/2016

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La natura è fantastica, ci mette a disposizione materiali spesso meravigliosi.
Uno di questi  è il Kauri Neozelandese (Agathis australis), una conifera antichissima che oggi è ricercata dalle più grandi aziende mondiali che producono arredi in legno.

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Alcune fonti datano le sue origini a circa 150.000 anni fa (Periodo Giurassico).
E’ considerato dagli esperti uno degli alberi più antichi al mondo, oltre che contendere il record della stazza, con le sequoie giganti californiane (può arrivare fino a 50 metri di altezza).
I Tronchi del Kauri sono coperti da una particolare corteccia color grigio-blu che ha la caratteristica di squamarsi in grossi fiocchi che si accumulano intorno alla base dell’albero. Questa particolarità lo rende molto resistente dagli attacchi dei parassiti e molto longevo, non a caso l’albero più grande e anziano della Nuova Zelanda è un Kauri di 1500 anni, alto 50 metri e con una circonferenza di 15 metri, chiamato il lingua Maori “Tane Mahuta” (“il re della foresta”).
La fortuna di avere questo materiale attualmente disponibile, è stata in gran parte fortuita, avendo subìto negli ultimi secoli una grande decimazione.
Da sempre utilizzato dai Maori per la costruzioni di barche, dal 1700 i coloni europei  hanno iniziato la sua deforestazione, abbattendo con soli due secoli circa 1,2 milioni di ettari di foresta. I marinai avevano capito che il legno di tale conifera era di altissima qualità per le imbarcazioni, soprattutto per i pennoni e per gli alberi delle navi.

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La fortuna di averlo disponibile è data dalla seconda componente essenziale che la natura in questo caso ci ha messo a disposizione, il terreno Neozelandese.
Il particolare fango, ha sommerso i tronchi secolari e li ha mantenuti in uno stato di conservazione perfetta, per circa 50000 anni, grandi quantità di legno sono rimaste conservate nel sottosuolo, in assenza di ossigeno. 
Oggi vengono scoperte vere e proprie miniere di Kauri, tronchi perfettamente conservati, freschi di taglio. La datazione al radiocarbonio accerta l’età dei legni di Kauri fossile, che può variare dai più “giovani” di 7000 anni, ai più antichi che arrivano perfino a 50000 anni di età.
La particolare bellezza di questo prezioso legno è data, oltre che dalla caratteristica colorazione, anche dalle venature ambrate, determinate dalla grande quantità di resina che caratterizza l’albero.


L’uso di questo materiale, molto in voga negli ultimi anni, lo ha reso popolare e molto ricercato dalle aziende produttrici di arredi in legno. Fantastici e unici i tavoli in Kauri, che possono superare i 10 metri di lunghezza. Un materiale tanto antico quanto innovativo,  che rispetta la natura, essendo estratto da alberi caduti in epoche passate.
Un materiale raro che può anche dare grossi contributi in campi artistici differenti, non solo nel design.



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