Non siamo amanti del Modernismo e delle sotto culture nato da esso, questo si è capito.
Oggi però ci interroghiamo più sul “dove siamo arrivati”, invece che dimostrare per l’ennesima volta ai sudditi ignavi di tali paradigmi, che la draconiana gabbia culturale è corrosa dalla ruggine...
…no non è di corten, è ruggine vera e propria e prossima alla dissoluzione.
L’Arte contemporanea, ancora più dell’architettura, sta vivendo un’era emetica.
Questo disastro ideologico cesserà il giorno in cui l’arte sarà libera dalla schiavitù del denaro, dal cilicio del marketing e dal nodo scorsoio imposto da coloro che vogliono solamente arricchirsi con essa.
Controbattiamo immediatamente alle obbiezioni che ai più acuti, possono sorgere leggendo queste righe, essendo lieti di evidenziare la distinzione tra le azioni di un mecenate del passato e un cravattaro moderno.
C’è una grandissima differenza tra il patrocinare e/o commissionare un’opera d’arte (come facevano in passato), e la diffusa pratica moderna di tenere gli artisti chiusi in una galleria-pollaio (a spese dell’artista per giunta), a sfornare sterili uova, presentate da solipsisti critici come dei pezzi Fabergé e poi vendute ad allampanate signore/ine (la cui abbondanza dei conti in banca dei propri padri e/o mariti, è inversamente proporzionali alla loro cultura artistica), come uova d’oro.
Tappezzarsi casa di croste, che siano francobolli o quinte da teatro sporche di vernice, raffiguranti astrattismi o anatomie contorte, non è il giusto modo per supplire alla mancanza di affetto del partner o per contrastare una dismorfofobia latente.
Questo purtroppo coloro che tengono sotto scacco l’arte da anni lo sanno bene.
Gli artisti sono obbligati ad accettare questo trattamento da polli di allevamento intensivo per non essere protagonisti di una Bohème Pucciniana nelle loro vite.
La macchina sforna soldi, è a pieno regime, ma questa non è arte, è una catena di montaggio, dove i bulloni le chiavi inglesi e la puzza di olio bruciato è sostituita dall’odore di olio di lino, da sgargianti quadri materici dai colori perlati e da sculture trash crisoelefantine.
Il ciclo produttivo è consolidato, l’artista è poco più di una macchina produttrice di ciò che gli viene detto di produrre, il critico è colui a cui spetta di decidere ciò che diventerà l’oggetto prodotto, (in base alle richieste di mercato), e il gallerista è il venditore finale.
Basta che questa crew abbia tanti soldi e il gioco è fatto. Più se ne hanno più se ne fanno!
Spiegazione approfondita su come fare soldi con l’arte: |