Siamo consapevoli per primi che l’industria abbia generato un mondo più confortevole e generalmente migliore; purtroppo però, come tutte le cose che subiscono mutazioni e cambiamenti con il tempo, non si può di certo affermare che oggi gli effetti collaterali non ci siano stati e non ci abbiano investito in pieno.
Lo “spirito nuovo” ricercato e difeso da Le Corbusier nei primi decenni dello scorso secolo, oggi ha modificato il suo status quo creando tante difficoltà, sia a livello architettonico-urbanistico, sia in un contesto più generalizzato di cultura industriale.
Quello che noi più volte abbiamo chiamato e chiameremo nei nostri scritti “industrianesimo” si riferisce alla spasmodica attitudine della cultura contemporanea di gestire la propria vita con criteri industriali, nell’ambito architettonico indicherà per noi la via da non seguire per evitare di progettare edifici che soddisfino ben poco coloro che li debbano abitare o ancor peggio il contesto che dovrà accoglierli.
Oggi il culto dell’industria non progetta più beni adatti all’essere umano, ma progetta prodotti che si adattano alla massa.
Questo modo di operare, in tutti gli ambiti dovrebbe far riflettere, in special modo nel contesto architettonico, tali metodi industriali si dovrebbero dimostrare palesemente antiquati e demodè.
L’ industria architettonica resta attiva e in relativa salute per via di una mancante alternativa convincente.
Il problema principale è un dilemma culturale, l’industria oggi è considerata dalla massa se non vantaggiosa, almeno accettabile, e questo non è ammissibile.
La mediocrità qualitativa dei prodotti generati dall’industria oggi, è ridotta e spesso annullata dal marketing che risulta il vero ed unico modello virtuoso della società contemporanea.
Il marketing ha una forza e un virtuosismo tale da innalzare qualitativamente i prodotti mediocri dell’industria e nella maggioranza dei casi, renderli addirittura desiderabili, così da ridurre il gap e rendere prodotti totalmente insufficienti, qualitativamente appetibili.
Tanto e troppo fumo, che rischia di farci perdere il contatto con la realtà e con un arrosto che mai assaporeremo; il marketing dal canto suo, riesce a renderci questo fumo allettante, facendoci scordare il reale sapore e l’importanza di un piatto che mai mangeremo.
Un’alternativa all’industrianesimo non viene ad oggi cercata perché crediamo che i prodotti figli dell’industria che utilizziamo, siano prodotti perfetti per le nostre necessità, eppure, nonostante avessimo tanto a disposizione, siamo perennemente insoddisfatti.
L’insoddisfazione non è dovuta da motivazioni psicologiche, sociali o culturali; l’insoddisfazione reale è dovuta a nostro avviso dalla mancanza di diversificazione, è dovuta dal fatto che siamo costretti ad uniformarci e ad avere gli stessi interessi, per far sì che l’industria possa rifilare il suo prodotto standardizzato.
Se pretendessimo beni differenti e creati a nostra misura, la diversificazione della produzione sarebbe tale che l’industria non riuscirebbe più a produrre in maniera seriale; la differenziazione del bene da produrre annullerebbe il sistema di produzione seriale che mantiene vivo il culto industriale.
Per far sì che l’industrianesimo si tenga in vita e proliferi vigorosamente nei prossimi decenni saranno costretti addirittura ad aumentare giorno per giorno la standardizzazione del prodotto, ciò significa che noi utilizzatori dei suddetti prodotti dovremo sforzarci ad uniformarci sempre più per poterceli rendere appetibili, acquistarli e quindi mantenere in vita il culto dell’industria.
Per certi versi siamo stati costretti involontariamente a diventare sempre più uguali in tema di desiderabilità dei beni da noi acquistabili e paradossalmente la diversità è accolta gentilmente, con il fine di un omogeneizzazione sociale.
Attualmente la diversità non viene valorizzata, ma viene solo accettata, per poi essere inglobata nel contenitore sociale che dovrà in qualche modo rendere tutti uniformi a livello di desiderabilità materiale.
La pesante insoddisfazione che dobbiamo reprimere ci costringe a crearci tante personalità che assumiamo in diversi contesti che andiamo ad occupare durante la nostra vita, così come il vapore in una pentola sotto pressione debba prima o poi cercare valvole o piccoli varchi dove ognuno di noi possa sviluppare la propria reale personalità.
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