Cosa si può dire ai fanatici del presente e principale paradigma quando pretendono che noi dovremmo accettare il fatto che il Decostruttivismo sia la contrapposizione al Modernismo, dopo che quest’ultimo ha dominato la scena stilistica architettonica per decenni?
Come pretendono che noi approviamo queste castronerie, quando uno dei fautori del Decostruttivismo è stato lo stesso fondatore del Movimento Moderno (Philips Johnson)?
E’ dura pretendere di creare un modello stilistico innovativo che domini per un altro secolo (dopo il “secolo modernista”) lo scenario architettonico, oltretutto con l’intento di far credere che sia il sostituto invece che l’evoluzione di quest’ultimo.
Il Professore James Stevens Curl nella prefazione al libro “Antiarchitettura e Demolizione” di N. Salingaros, metaforizza il caso del Decostruttivismo con la fiaba danese “I vestiti nuovi dell'imperatore” scrive:
“ … “L’imperatore è nudo” è un vecchio adagio ma, nel triste caso del Decostruttivismo, è assolutamente adatto, dato che questo stile non è veramente nient’altro che modernismo in una nuova veste…”
Al di la del richiamo alla fiaba, il concetto di definire il decostruttivismo come modernismo in una nuova veste, non è solo filosoficamente giusto, ma è sotto i nostri occhi.
Noi a differenza del Prof. Curl vogliamo essere più diretti.
Per capire il concetto, basti spogliare letteralmente la maggior parte delle opere decostruttiviste dei loro involucri, più o meno tecnologici, quel che vedrete, nel maggiore dei casi, è una pura opera modernista; oppure tradurre mentalmente i suggestivi concept che mostrano la generazione formale dell’opera, per notare che il più delle volte quest’ultima nasce da una tipica forma modernista alienata secondo qualche modificatore che ci offrono i numerosi programmi di calcolo tridimensionale.
Andiamo però più a fondo… |
Tutte le ombre del Decostruttivismo, le approfondiremo in un capitolo a parte, per non andare fuori tema e per non appesantire troppo questa pagina di Journal. |